giovedì 20 gennaio 2011

Intervista di Olivier Maurel ad Alice Miller (1999, revisione del 2004)

Un punto di riferimento importantissimo nel mio lavoro di psicoterapeuta  è il modello teorico e di intervento elaborato da Alice Miller.
La Miller è  una psicoanalista che ha raggiiunto fama internazionale con il suo lavoro sulle cause e gli effetti dei traumi infantili. Tra i suoi libri che sono stati tradotti in lingua italiana vi consiglio: Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero sé (1996), Il risveglio di Eva (2002), Il bambino inascoltato (1989), La rivolta del corpo.

Vi segnalo il link del sito in cui è pubblicata questa interessante intervista di Olivier Maurel alla Miller :
E condivido qui di seguito il testo dell'intervista stessa:

Qual è, secondo lei, la fonte principale della violenza umana?
Vedo le radici della violenza e della distruttività dell’adulto nei traumi e nelle carenze che questi ha subìto e rimosso nella sua infanzia.
Com’è stata personalmente portata alla certezza che il maltrattamento sia la fonte principale della violenza umana?
Grazie ai miei pazienti, ho potuto un po’ alla volta acquisire la certezza che le ferite subite durante l’infanzia si trasformano nell’età adulta in distruttività.
Perché, inizialmente, si era orientata verso la psicanalisi?
Quando ho cominciato a studiare la psicanalisi, non sapevo tutto quello che oggi so. Speravo di trovare le risposte alle domande che mi ponevo. E ho trovato molte risposte studiando i concetti di rimozione, la negazione e l’ossessione di ripetizione [compulsione]. Ma la risposta alla domanda sulle radici della violenza ho dovuto trovarla da sola, e contro il dogma freudiano sul male innato.
Per quanto tempo ha esercitato?
Ho esercitato la psicanalisi per vent’anni.
Per quale motivo vi ha rinunciato ed è stata portata a criticarla?
Un po’ alla volta mi sono resa conto che le domande che mi ponevo erano inquietanti per i miei colleghi e che non ne potevo discutere con loro. Ero sempre più convinta che i miei pazienti avessero subìto delle infanzie molto infelici ma che non potessero ammettere questa verità. Idealizzavano i loro genitori, e nascondevano la verità tanto a loro stessi quanto a me. Quando volevo parlare di tali questioni con i miei colleghi, mi assicuravano sempre che mi sbagliavo, perché Freud aveva detto che bisognava trattare come fantasie tutto ciò che il paziente racconta.
La “pulsione di morte”, alla quale ci si riferisce spesso per spiegare la violenza, per lei è una realtà?
No, la pulsione di morte, compresa come un istinto umano, secondo me non è affatto una realtà. Penso che si possa evitare la distruttività se si trattano i bambini fin da subito con rispetto, amore e protezione.
La sua condanna alla psicanalisi è totale?
All’inizio, ero molto indignata nel constatare che la psicanalisi ha considerato il maltrattamento del bambino in un modo per me molto sorprendente.
Ma, come ho detto prima, ho anche imparato molto dalla psicanalisi.
Può spiegare il processo interiore attraverso il quale i maltrattamenti subiti dai bambini hanno delle conseguenze nel corso di tutta la loro esistenza e li spingono alla violenza contro altri o alla violenza contro sé stessi? Si tratta di un’imitazione di ciò che hanno subìto, di una vendetta o di un altro processo psichico?
Lei mi pone delle domande molto importanti, e che anch’io mi pongo sempre. Penso che ci vogliano ancora molte ricerche per poter veramente rispondere a queste domande dal punto di vista della strutturazione del cervello. Il fenomeno è chiaro. Si può constatare ovunque che ciò che si è subìto lo si ripete inconsciamente in una maniera attiva o passiva. Tutti i miei libri contengono molti esempi di questo fatto, e ognuno di noi può osservare nella vita quotidiana come ciò accada.
Ma si constata anche che non è una fatalità, che ci sono delle persone, che per esempio erano picchiate dai loro genitori, e che non picchiano i loro figli, perché hanno deciso di cambiare qualcosa nella loro vita. Non vogliono automaticamente ripetere ciò che è successo a loro e cercano altre opzioni.
Forse tutte le sue proposte di spiegazione sono valide. Si può parlare in un caso di vendetta, in un altro caso d’imitazione, e ci sono forse altri casi in cui si può trovare un’altra spiegazione.
Lei ha chiamato il maltrattamento dei bambini “un crimine millenario” (“La fiducia tradita. Violenza e ipocrisie nell'educazione”, ed. francese “Abattre le mur du silence”). Come giustifica questa affermazione?
Parlo di un crimine millenario perché il modo di trattare un bambino come un oggetto e d’ignorare i suoi bisogni può essere osservato non sono ai giorni nostri, ma anche molte migliaia di anni fa, per esempio in Cina, in cui per moltissimo tempo si sono rotte le ossa dei piedi delle bambine. Preferiamo ignorare questi fatti o non credervi, perché sono abominevoli. Ma comunque esistono. La mutilazione delle donne in Cina, la mutilazione delle donne in africa che si perpetra fino ad oggi non ha aiutato le donne adulte a diventare delle madri amorevoli per i propri figli. Le nonne e le madri che sono sempre favorevoli all’infibulazione della loro bambina hanno subìto lo stesso dolore e la stessa umiliazione della loro madre e della loro nonna senza potersi difendere. E’ verso le bambine che si dirige la loro rabbia rimossa e negata. Parlo di un crimine millenario perché voglio mostrare che i risultati di questi crimini non sono limitati ad una generazione. La violenza si perpetra senza limite.
La sua spiegazione della violenza attraverso il maltrattamento dei bambini è confermata o meno dagli studi degli animali più simili a noi?
Certo. Se prendiamo un cane che è stato maltrattato all’inizio della sua vita, vedremo una grande differenza tra questo e un altro cane che è stato amato fin dal primo giorno.
Si può constatare la stessa cosa anche con i gatti. I cani aggressivi, che combattono, sono cani severamente maltrattati nella loro infanzia. Ciò che gli animali e gli esseri umani devono ricevere dalla madre all’inizio della loro vita è la certezza interiore di essere accettati, che li aiuterà in seguito a gestire lo stress in modo ottimale.
Per quali ragioni si prova tanta reticenza ad accettare l’idea della gravità dei maltrattamenti inflitti ai bambini?
Ci sono diverse ragioni che ci impediscono di accettare questa verità. Innanzi tutto, c’è il dolore e l’angoscia della nostra personale infanzia che vogliamo evitare. Se accettiamo il fatto che noi stessi siamo stati traumatizzati, feriti, umiliati nella nostra infanzia, delle emozioni sgradevoli come la rabbia, la tristezza, l’angoscia possono tormentarci, e noi vogliamo evitarlo a tutti i costi. Ci si pone la domanda: che ne farò di tutte queste emozioni una volta che le avrò risvegliate? Allora, si preferisce non svegliare il cane che dorme e ci si ripete che tutte le spiegazioni sull’infanzia non hanno veramente importanza.
Molti intellettuali e insegnanti credono che la cultura possa essere uno scudo contro le dittature. Ma un buon numero di intellettuali, tra cui il più grande filosofo tedesco, Heidegger, sono stati sedotti dal nazismo, e la Germania all’inizio del secolo era il paese al mondo che aveva il minor numero di illetterati. Ciò conferma il suo punto di vista?
Si, certo. Apparentemente, si possono sviluppare delle capacità intellettuali molto importanti senza avere un ricordo cosciente di ciò che si è subìto da bambini. Il ricordo dei traumi può essere registrato nel nostro corpo senza essere presente coscientemente.
“Come impedire a degli squilibrati di arrivare al potere e di tiranneggiare interi popoli?” Lei pone questa domanda in “La fiducia tradita. Violenza e ipocrisie nell'educazione”, ed. francese “Abattre le mur du silence” p. 142). Che risposta dà?
E’ la domanda a cui cerco la risposta io stessa. Per impedire a degli squilibrati di tiranneggiare interi popoli, bisogna voler comprendere proprio quella dinamica che ci si rifiuta di comprendere. Per quale motivo questo rifiuto? La paura del dolore è l’unica ragione? Credo ce ne siano altre. Uno dei motivi più profondi è il fatto che, nella prima infanzia, noi dobbiamo lottare contro lo stress distruggendo i neuroni che avrebbero potuto conservare il ricordo dei maltrattamenti. Una volta diventati adulti, ci manca il ricordo cosciente di ciò che è successo, e, se il ricordo continua ad agire nel nostro corpo producendo sintomi psicosomatici, possiamo negare il loro legame con la nostra storia reale. Tuttavia, si può constatare che durante la terapia, se riusciamo a comprendere le nostre emozioni nel contesto reale della nostra vita, possiamo stare meglio e anche vedere scomparire i sintomi psicosomatici. E’ il soggetto del mio prossimo libro, “La rivolta del corpo” (2004). Allora spero che in futuro le persone cominceranno a capire la loro vita e giungeranno ad impedire a degli squilibrati di tiranneggiare i popoli.
Per quale ragione, secondo lei, la sua opera è molto più conosciuta e meglio accettata negli Stati Uniti e in Germania piuttosto che in Francia?
Non lo so. Forse può rispondere lei a questa domanda, visto che è francese e ha comunque apprezzato i miei libri. E’ vero che in America e in Germania, come in Francia e come ovunque, la maggior parte delle persone è persuasa che esistano delle sculacciate buone, che non si possa educare senza di esse.
Ma negli Stati Uniti, in Germania e nei paesi scandinavi, ci sono se non altro dei gruppi che mettono in discussione questa tradizione. Dei giovani genitori che hanno la fortuna di vivere delle nuove esperienze con i loro neonati e i loro bambini, e che, partendo dalla loro propria infanzia, cominciano a comprendere sulla natura umana delle cose che i loro genitori non hanno potuto insegnare loro. La Francia mi sembra un po’ più in ritardo, ma vi si trovano anche dei gruppi che si organizzano.
Lei ha scritto, nel suo libro “Le vie della vita. Sette storie” (p. 137, ed. francese), che “solo degli uomini e delle donne che abbiano conosciuto prestissimo, nelle prime settimane della loro vita, la violenza fisica e morale, non hanno saputo cos’è l’amore, hanno potuto divenire dei “boia volontari di Hitler””. Su cosa poggia tale affermazione?
Negli anni sessanta lo psicologo Harlow ha condotto degli esperimenti con le scimmie. Ha potuto dimostrare che le piccole scimmie, private dell’amore e della presenza della madre dopo la nascita, non hanno interesse per i propri figli una volta diventati adulti. Dopo Harlow, sono stati ripetuti i suoi esperimenti con altri animali, in particolare i topi. Sugli uomini ci si è accorti che un bambino che è stato trascurato all’inizio della vita non può sviluppare la sua capacità di empatia. Allora, è logico, non posso immaginare che si possa divenire un boia volontario di Hitler se si è potuta sviluppare questa empatia.
A leggerla, si ha a volte l’impressione che, per lei, un bambino trattato bene, rispettato, accompagnato dai suoi genitori con tenerezza, non possa fare del male, che i sentimenti viventi che egli ha conservato dalla sua infanzia lo impediscano. Lei scrive in un altro punto: “Ogni essere umano viene al mondo senza cattive intenzioni, e con un bisogno chiaro, forte e privo di qualunque ambivalenza: restare in vita, amare ed essere amato.” (“La fiducia tradita. Violenza e ipocrisie nell'educazione”, ed. francese “Abattre le mur du silence” p. 197, ed. francese). E, più chiaramente ancora: “Mai qualcuno che abbia avuto il diritto di provare nuovamente ciò che gli è stato inflitto nella sua infanzia commetterà un omicidio.” (L’infanzia rimossa, p. 35, ed. francese). Su cosa si poggia la sua certezza? Essa non nega la libertà umana, che può essere anche la libertà di fare il male?
E’ una domanda molto francese. Lei parla di una teoria, e io parlo della vita. In Francia siete molto impressionati dalle teorie del marchese de Sade, che ha cercato la libertà del suo piacere perverso. All’inizio non conoscevo niente della sua infanzia, ma non potevo immaginare che qualcuno che non fosse stato torturato nell’infanzia avesse bisogno di torturare gli altri. E ne ho trovato la conferma nella storia della sua infanzia. Ma perché nessuno s’interessa all’inizio della storia? Ci sono persone che non hanno necessità di fare del male, non cercano la libertà di fare del male. Cercano la libertà di esprimersi, di poter amare. Se qualcuno ha bisogno di essere libero di fare il male, ciò significa che la storia della sua vita lo spinge verso questa azione. Ma essere spinto è per me il contrario della libertà.
A volte lei è stata accusata di “rousseauismo”. L’uomo naturale è ai suoi occhi, come agli occhi di Rousseau, “naturalmente buono”?
Quando si mettono in evidenza della cose spiacevoli, non si può evitare di essere costantemente inquadrati in categorie, in cui non ci si sente bene. Ho mostrato io stessa che Rousseau era ancora un uomo del suo tempo in Emilio, in cui ricorre alla pedagogia nera. Ciò che io scrivo non ha niente in comune con la sua descrizione sentimentale della natura del bambino, che lui voleva tra l’altro educare in modo tradizionale. Quello che penso della natura umana proviene dalla mia esperienza con i miei pazienti e con me stessa, e le ricerche scientifiche sul cervello del bambino, che confermano interamente le mie ipotesi. In quanto esseri umani, siamo tutti nati prematuri, con un cervello non del tutto strutturato, e abbiamo bisogno di buone esperienze, della stimolazione, della gentilezza in chi ci sta attorno, per poter strutturare il nostro cervello in modo ottimale. Se, al posto di tutto questo, riceviamo botte, violenza, negligenza, è logico che la struttura del nostro cervello non possa completarsi come dovrebbe. Che un bambino trattato in questo modo all’inizio della sua vita vada, a sei anni, ad assassinare un neonato nel vicinato, è del tutto logico per me. Vede che non può fare dei paragoni tra me e Rousseau.
Lei ha scritto: “Il coraggio, l’onestà e l’attitudine ad amare gli altri non devono essere considerati come “virtù” né come categorie morali, ma come delle conseguenze di un destino più o meno clemente”. Cosa diventa allora la responsabilità umana?
Prenda dunque l’esempio che ho citato nella domanda precedente. Certamente, si può dire a questo bambino che si deve sentire responsabile e non uccidere un altro bambino. Ma le vostre prediche saranno vuote di senso e del tutto inefficaci nei confronti di un essere che non ha mai imparato l’empatia per gli altri, perché questa persona non ha empatia per se stessa. Ha imparato solo la crudeltà, ed è ciò che mette in pratica. Crede che si possa insegnare la responsabilità a persone che hanno avuto la stessa storia di questo bambino (e ce ne sono molte nelle case popolari francesi) e in cui i genitori hanno esercitato su di essi il potere e non la responsabilità?
Lei ha scritto: “La morale e il senso del dovere sono delle protesi alle quali bisogna ricorrere quando manca un elemento essenziale”, sapendo dei “sentimenti viventi” venuti da un’infanzia rispettata. Non è pericoloso sostituire dei sentimenti ai principi morali?
No, credo il contrario. E’ pericoloso sostituire i principi morali ai sentimenti di empatia. Là dove c’è solo crudeltà e manca l’empatia, non si potrà mai ottenere altro che l’obbedienza e la distruttività nascosta, con o senza principi morali. Ecco perché si picchiano ancora i bambini in certe scuole religiose, e si spera di poter ottenere dei bambini e degli adulti responsabili con le punizioni corporali. E’ del tutto assurdo, perché si produce proprio il contrario.
Si dice a volte “un bambino picchiato picchierà”. E’ corretto? E’ possibile per dei bambini che hanno subìto dei maltrattamenti, sottrarsi a questa fatalità? E come?
Si, lo si dice a volte, e mi si attribuisce questa opinione, ma questa non è proprio la mia opinione. Al contrario, conosco molte persone che sono state picchiate e che non vogliono vivere incoscientemente e ripetere automaticamente ciò che hanno passato. Ma è vero che la maggior parte delle persone riproducono senza riflettere ciò che hanno vissuto. Si sente spesso, soprattutto in Francia, la frase: senza botte, non mi ascolterà mai.

Lei si batte per la promulgazione di una legge che vieti di picchiare i bambini. Una legge simile non rischia di indebolire l’autorità dei genitori e quindi di disorientare ancora di più i bambini?

La vera autorità non ha bisogno delle botte o degli schiaffi per mostrarsi forte e per aiutare il bambino. E’ il contrario. Si danno botte e schiaffi se ci si sente deboli e impotenti. In questo caso, non si mostra al bambino l’autorità, ma il potere e l’ignoranza.
Lei è stata intervistata di recente dal settimanale La Vie e in un numero seguente una lettrice ha risposto al suo enunciato sui maltrattamenti che aveva ricevuto quando era bambina e che non ne portava le conseguenze. Che risponderebbe a sua volta?
Non ho niente da rispondere, perché è una reazione classica che conosco molto bene, che mostra la profondità della rimozione e della negazione. Ma non ho letto la lettera e non posso esprimermi di conseguenza. Forse la persona voleva dire che non soffre più per ciò che ha passato, grazie a delle buone relazioni che ha nella vita attuale. Così sì la posso capire.
Una delle critiche che si sentono più spesso formulare contro di lei, per esempio, ultimamente nel libro di Ron Rosenbaum, “Perché Hitler?” è che lei vada troppo lontano pretendendo di spiegare Hitler, Stalin, Ceausescu e Mao Tze Tung attraverso la loro infanzia sfortunata. Non c’è sproporzione tra le botte ricevute da Hitler bambino e l’olocausto? Tra la violenza dei genitori di Stalin e i gulag? Claude Lanzmann è arrivato a dire che era “osceno” spiegare Hitler attraverso la sua infanzia. Cosa risponde a queste critiche?
Dire che voler comprendere Hitler è osceno non è una critica, è solamente l’opinione di un uomo che ha deciso di non voler capire. Per me che ho vissuto la seconda guerra mondiale è stato di primaria importanza capire come tutto ciò che si pensava essere impossibile fosse invece diventato reale.
Quando avevo 10 anni, ho visto a Berlino degli uomini, delle SA [Sturmabteilung – battaglioni d’assalto, n.d.t.] in uniforme gridare nelle strade. Mi ricordo che già, in quella circostanza, mi sono posta la domanda: cos’ha potuto rendere questi uomini così crudeli, così violenti. Questa domanda mi ha accompagnato tutta la vita.
Le si obietta spesso che il maltrattamento è forse una delle ragioni della violenza umana, ma che riguarda solo una minoranza di bambini, e che ben altre cause, economiche, sociali e politiche, sono molto più importanti. Che ne pensa?
Lei pensa apparentemente che solo una minoranza di bambini siano colpiti dal maltrattamento. Se fosse questo il caso, non potrebbe essere un fattore importante nello sviluppo della violenza. Si tratta qui della definizione della nozione di maltrattamento. Quando i sondaggi rivelano che il 90% delle persone dicono che picchiano i loro bambini per delle ragioni educative, ciò non significa dire, per me, che il maltrattamento riguarda solo una minoranza. Se lei pensa alla “violenza educativa” che io chiamo maltrattamento, capisce come mai prendo tanto sul serio questo fattore.
Non teme di dar prova di “riduzionismo” spiegando tutti i mali del mondo o quasi con il maltrattamento? I cataclismi, la “legge della giungla” mostrano che la violenza fa parte dell’ordine della natura. La violenza umana non potrebbe dunque avere delle cause multiple e più originali del maltrattamento?
Se parlo di un fattore importante non vuol dire che io neghi l’esistenza di altri fattori. Ma ciò che osservo è che non sono ignorati gli altri fattori, ma solamente quel fattore che cerco di dimostrare. Mi pongo la domanda del perché. Quando cerco la risposta a questa domanda, mi chiedo perché si rigetti questa spiegazione laddove essa si mostri veramente utile.
Ha intitolato uno dei suoi libri “La fiducia tradita. Violenza e ipocrisie nell'educazione” (ed. francese “Abattre le mur du silence”). Di quale muro si tratta esattamente, e perché è stato costruito?
Il fatto che si eviti questo soggetto mostra che esiste sempre un muro di silenzio attorno al problema che riguarda i traumi del bambino.
Lei ha scritto in E’ per il tuo bene (p. 158, ed. francese): “Per imparare il rispetto (del bambino) non abbiamo bisogno di manuali di psicologia, ma di una revisione dell’ideologia dell’educazione. Cosa voleva dire?
Quando ho scritto E’ per il tuo bene, vent’anni fa, pensavo che fosse sufficiente esporre i metodi dell’educazione tradizionale, le menzogne, la manipolazione, la crudeltà, perché si aprissero gli occhi e tutto ciò cessasse. Era ancora molto ingenuo da parte mia. Oggi so che questi metodi sono registrati nei nostri corpi e che non è facile abbandonarli. Ma so che ci si può arrivare se lo si vuole.
Pensa che la violenza attuale nelle “banlieues” (periferie francesi, n.d.t.) possa spiegarsi col maltrattamento? Non è piuttosto la conseguenza di una certa situazione economica, di una certa urbanizzazione e di una mancanza di fermezza dei genitori e della società verso i bambini?
Non solo il maltrattamento, ma anche la negligenza di cui sono vittime i bambini piccoli, l’ignoranza dei loro veri bisogni, la mancanza di rispetto. Un bambino impara prestissimo che non merita rispetto e, evidentemente, non può rispettare gli altri a sua volta. Sceglierà il più debole per trattarlo nello stesso modo in cui è stato trattato lui.
Il modo in cui la violenza viene presentata in televisione gioca un ruolo altrettanto importante del maltrattamento nella violenza che si constata attualmente in molti giovani?
Certo. Ma penso sempre che un bambino amato e protetto non si interessi ai film crudeli alla televisione.
Lei ha scritto: “Un dogma vive dell’angoscia che hanno i suoi adepti di non far parte del gruppo.” La sua spiegazione della violenza attraverso il maltrattamento non rischia di diventare un dogma generatore di angoscia?
Io non spiego la violenza solo attraverso il maltrattamento, ma anche con l’abbandono che fa sì che un bambino non possa sviluppare l’empatia. Se lei tratta questa opinione come un dogma, sta a lei giudicarlo. Per il momento, non c’è pericolo che si trattino le mie opinioni come un dogma. Ci sono pochissime persone che sono d’accordo con quanto scrivo, e non hanno alcuna ragione di essere angosciati se mi si critica.
Non è dare prova di eccesso di ottimismo e anche di utopia scrivere: “Quando sarà tolta l’ignoranza risultante dalle rimozioni dell’infanzia e l’umanità sarà risvegliata, questa produzione del male potrà interrompersi.”? (L’infanzia rimossa, p. 175, ed. francese)
Non penso sia un’utopia dire che gli adulti che hanno avuto la fortuna di imparare il rispetto per il bambino cambieranno gli schemi culturali del futuro.
Non è la società che forma la personalità, sono le persone che formano la società, e l’infanzia di queste persone gioca un ruolo primario nel modo in cui queste si comportano da adulti.
Lei non ha parlato in nome delle persone che mi criticano, che mi accusano di rousseauismo o di oscenità perché vedo e posso capire che loro non vogliono comprendere. Rimproverano il mio “riduzionismo” perché non cercano di capire la complessità delle mie spiegazioni. Lo so che, molto spesso, lei ha fatto l’avvocato del diavolo per provocare la mia reazione. Mi permetta, per concludere, di porre questa semplice domanda: come possiamo capire la nostra vita se non vogliamo capire la storia dei nostri primi tre anni, la storia del tempo in cui il nostro cervello si è strutturato?
Benché io deplori la resistenza e le opposizioni contro i miei sforzi per approfondire la nostra conoscenza dell’infanzia, posso tuttavia capire molto bene i motivi che suscitano questa resistenza. Una volta usciti da questa situazione di sofferenza, hanno fatto di tutto per dimenticarla, e non vogliono ad alcun prezzo ricordarsi la loro impotenza. Quanto a me, ho scelto precisamente ciò che la maggior parte delle persone rifiuta: ho scelto di provare nuovamente questa impotenza, d’una bambina saggia e ben educata, al fine di poter comprendere ciò che è accaduto a me e agli altri. Se mi sono sbagliata, il futuro non mancherà di mostrarcelo.
Tradotto liberamente dal francese da Chiara Pagliarini

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